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Giovani: è tempo di cambiare strategia

Secondo un sondaggio di Istat sul Benessere equo e solidale 2021, l’Italia è il primo Paese in Europa per numero di giovani (15-29 anni) che sono inattivi: non studiano, non lavorano e neanche cercano un impiego. Il 12,7% dei giovani esce dal sistema dell’istruzione e formazione senza aver conseguito un titolo di studio e non va meglio a chi invece completa il ciclo di studi fino alla laurea. Per loro non ci sono opportunità adeguate. Secondo l’indagine Istat quindi, i lockdown e le restrizioni non hanno impedito ai giovani di emigrare all’estero o di lasciare il Sud per il Centro e per il Nord Italia.

Questo, per il Movimento 5 Stelle è sempre stato uno dei temi centrali perché i giovani rappresentano il futuro del nostro Paese e un Governo che non si occupa di questo, ha evidentemente perso la propria ragion d’essere. Serve un cambio di strategia, le politiche giovanili devono diventare una priorità, beneficiarie di interventi strutturali come la campagna NEET Working Tour della nostra Fabiana Dadone.

Ascoltare le richieste dei giovani per trasformare in azione è il primo passo di un processo virtuoso di cambiamento che si basi su investimenti in scuola e università, servizi territoriali per la cultura, sport e tempo libero.

Per offrire un futuro ai nostri giovani occorre anche intervenire sull’occupazione, con sgravi contributivi per agevolare nuove assunzioni di giovani e donne e in questo senso un forte impulso potrà arrivare grazie ai fondi del PNRR.

I tirocini, ad esempio, possono essere un utile strumento per introdurre i giovani al mondo del lavoro ma vanno regolamentati e non utilizzati in sostituzione di contratti di lavoro regolari. Il Movimento 5 Stelle ha elaborato alcune proposte, come la verifica di quanti di questi tirocini si trasformano in contratti di lavoro o la previsione di spazi di coworking gratuiti per i giovani imprenditori e molto molto altro.

Imprenditoria femminile: da maggio le domande per gli incentivi

Da maggio sarà operativo il Fondo del Ministero dello sviluppo economico che incentiva le donne ad avviare e rafforzare nuove attività imprenditoriali. 

Era una delle priorità del Governo e del PNRR a cui sono stati destinati 200 milioni di euro con l’obiettivo di supportare la nascita e lo sviluppo delle imprese femminili.

Da maggio potranno essere presentate le richieste di contributo, a fondo perduto o finanziamenti agevolati, secondo questo calendario: per l’avvio di nuove imprese femminili o costituite da meno di 12 mesi la compilazione delle domande è possibile dalle 10 del 5 maggio 2022 e la presentazione a partire dalle 10 del 19 maggio 2022; per lo sviluppo di imprese femminili costituite oltre 12 mesi la compilazione delle domande è possibile dalle 10 del 24 maggio 2022 mentre la presentazione a partire dalle 10 del 7 giugno 2022. 

È uno strumento che siamo sicuri potrà dare un concreto sostegno a tante donne imprenditrici che potranno valorizzare la propria attività.

Il Fondo dispone di 160 milioni di euro di fondi PNRR che si sono sommati ai 40 milioni di euro già stanziati con la legge di bilancio 2021 ed è articolato su incentivi dedicati a imprese femminili (intese come imprese a prevalente partecipazione femminile e lavoratrici autonome) con sede legale e/o operativa situata sul territorio nazionale. 

L’avvio di nuove attività imprenditoriali sarà inoltre supportato con azioni dirette ad affiancare le donne nel percorso di formazione ma anche attraverso servizi di assistenza tecnico-gestionale della misura.

Le agevolazioni saranno concesse a fronte di programmi di investimento nei settori dell’industria, artigianato, trasformazione dei prodotti agricoli, commercio e turismo, nonché nella fornitura dei servizi.

Gli sportelli per la presentazione delle domande saranno gestiti da Invitalia per conto del Ministero dello sviluppo economico.

Con prossimi provvedimenti ministeriali verranno infine rifinanziate le altre misure già avviate come Imprese ON (Oltre Nuove Imprese a Tasso zero), a supporto della creazione di piccole e medie imprese e auto imprenditoria, e Smart&Start, a supporto di startup e PMI innovative. 

Il Salario Minimo

Il Movimento 5 Stelle sta lottando dal 2013 per l’introduzione in Italia del salario minimo.

All’inizio della XVIII Legislatura, la senatrice Nunzia Catalfo ha presentato un disegno di legge sul tema (A.S. 658), a cui ne è seguito un altro, aggiornato, depositato ad aprile 2021 (A.S. 2187). Secondo questa proposta, per essere “sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato”, come prevede l’articolo 36 della Costituzione, la retribuzione non può essere inferiore a quella prevista dal contratto collettivo nazionale in vigore per il settore di riferimento e stipulato “dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Questa precisazione è dovuta al fatto che esistono circa mille contratti depositati al Cnel di cui il 37,5% sono firmati da associazioni fittizie.

Noi crediamo che la retribuzione minima di un lavoratore non possa scendere sotto i 9 euro lordi all’ora, cifra a cui, secondo l’Inps, non arrivano 4,5 milioni di lavoratori. Per andare incontro ai datori di lavoro a far fronte all’aumento dei costi, la nostra proposta prevede la detassazione degli incrementi retributivi dei contratti collettivi nazionali di lavoro per almeno un triennio.

“Il salario minimo aumenterebbe la disoccupazione e il lavoro nero”. Mai più grande sciocchezza è stata detta. Eppure i detrattori del salario minimo non fanno altro che criticare in questo senso la misura. Ma i fatti, gli studi, dicono altro.

Di recente, l’Università di Harvard ha evidenziato che in Germania, grazie a questo provvedimento, sono stati messi fuori mercato gli impieghi pagati meno di 8,5 euro l’ora (la soglia stabilita nel gennaio 2015, poi aumentata a 9,19 quattro anni dopo e che ora il governo di Olaf Scholz ha portato a 12 euro) e sono cresciuti sia il Pil sia il numero di occupati. 

Intervistato da Presa Diretta (Rai3), Florian Moritz della Deutscher Gewerkschaftsbund, la maggiore confederazione sindacale della Germania, ha affermato: “Con l’introduzione del salario minimo a 8,50 euro abbiamo visto che per molte persone lo stipendio è aumentato del 20%: questo significa che avevamo davvero un problema enorme, soprattutto nell’ex Germania dell’Est e in certi comparti produttivi”.

In tale contesto, non vanno dimenticati gli studi empirici di David Card, professore di Economia del lavoro all’università di Berkley e vincitore del Premio Nobel per l’Economia 2021. Nel 1995, Card studiò per la prima volta l’effetto del salario minimo sugli impatti occupazionali, dimostrando che l’introduzione del salario minimo non aveva un effetto negativo sull’occupazione.  

Ad oggi, come ho avuto modo di dire più volte  (Leggi qui), l’Italia è uno dei pochi paesi Ue a essere sprovvisti di una normativa sul salario minimo, insieme a Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria e in parte Cipro. Il 22 febbraio 2022, in Spagna, il governo ha approvato l’aumento da 965 a 1.000 euro lordi mensili che avrà effetto retroattivo dal 1° gennaio; il giorno dopo, in Germania, l’esecutivo ha dato il via libera all’innalzamento del salario minimo a 12 euro l’ora a partire da ottobre 2022. 

Come testimoniato dal rapporto Eurostat In-work poverty in the EU (marzo 2018), oggi nel nostro Paese l’11,7% dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali contro una media Ue del 9,6%. A ciò si aggiungono i dati sulle prospettive di vita: per il Censis, 5,7 milioni di giovani precari, neet e working poor rischiano di avere nel 2050 pensioni sotto la soglia di povertà.

Con il salario minimo proteggiamo le categorie più a rischio di emarginazione e sfruttamento, prime fra tutte giovani e donne.

Dovrebbe essere contro ogni sentimento umano pagare un salario che non permette al lavoratore di condurre una vita dignitosa e ha il fondamentale ruolo di far aumentare le entrate dei lavoratori con i redditi più bassi: un aumento del loro reddito si tramuterebbe quasi totalmente in consumi e non in risparmi. Ciò porterebbe ad un aumento della domanda aggregata e ad un effetto benefico per l’intera economia. Inoltre, con una politica industriale pubblica orientata al raggiungimento di obiettivi di medio/lungo periodo si arriverebbe alla creazione di nuovi posti di lavoro.

Il nuovo Reddito della Cittadinanza

Reddito di cittadinanza, OCSE: “Ha permesso una riduzione dell’intensità della povertà e ha avuto un ruolo importante nel sostenere il reddito delle famiglie nel corso della pandemia. C’è molto da fare, ma riteniamo sia uno strumento molto importante e che ha permesso di prevenire alcuni degli effetti più devastanti della pandemia”. 

La natura primaria del Reddito di Cittadinanza è sempre stata quella di protezione verso le fasce più deboli di reddito, verso soggetti che cercano un impiego ma che non riescono a trovarlo. Posizioni come quella dell’OCSE confermano la bontà di questa misura che certamente ha anche bisogno di essere migliorata.

Ecco perché con l’ultima Legge di Bilancio abbiamo potenziato il Reddito di Cittadinanza con un miliardo in più ma, allo stesso tempo, prevediamo controlli preventivi più stringenti e soluzioni per fluidificare l’accesso al lavoro dei percettori di RdC che sono effettivamente occupabili. 

Alcune forze politiche hanno costruito sopra a questa misura una certa retorica volta a screditarne l’utilità e i benefici. Parole che però sono smentite dai numeri. Un rapporto della Guardia di Finanza relativo a quasi due anni di pandemia dice che a fronte di 15 miliardi di euro complessivamente sottratti allo Stato in termini di truffe e illeciti vari, solo lo 0,8% fa riferimento a erogazioni a titolo di RdC.

Ciò non toglie che tutto si possa migliorare e siamo d’accordo sulla necessità di avere regole maggiori che sono state recepite in Legge di Bilancio.

Più controlli.

Le condizioni per ottenere e mantenere il RdC saranno più stringenti. Non basteranno più autocertificazioni da parte dei richiedenti ma sarà l’Inps che verificherà preliminarmente l’esistenza delle condizioni per ottenere il sussidio attraverso i dati Isee, così come i controlli dell’anagrafe e il casellario giudiziario.

Ma non basta. A questo proposito, è stato esteso l’elenco dei reati incompatibili col Reddito, prosciugando così il bacino dei beneficiari che prendono il sussidio sottraendosi alle attività lavorative.

Dopo il primo rifiuto, taglio di 5 euro.

La riforma prevede anche un inasprimento del sistema sanzionatorio. D’ora in avanti, se il titolare del Reddito di cittadinanza non si presenta senza giustificazione al centro dell’impiego che lo ha convocato, incorre nella sospensione temporanea del sussidio. Dal prossimo anno, invece, anche una sola assenza ingiustificata all’appuntamento con il centro per l’impiego determinerà l’immediata decadenza dal beneficio. Inoltre, se ora il titolare del sussidio può rifiutare fino a tre offerte di lavoro congrue prima che il Reddito venga tolto, dal 2022 lo perderà già al secondo rifiuto. Non solo. Se non accetterà la prima offerta di lavoro congrua, subirà un taglio dell’assegno di 5 euro al mese per ogni mese di non lavoro, con il limite di 300 euro (il sussidio non può scendere sotto).

Subito la disponibilità a lavorare.

Fino ad oggi, i beneficiari del RdC considerati occupabili hanno dovuto sottoscrivere la Dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro entro 30 giorni dal riconoscimento del sussidio o comunque quando ricevono la prima convocazione da parte dei centri per l’impiego. Dal 2022, invece, la Did dovrà essere firmata nel momento in cui si presenta la domanda per il Reddito. In questo modo i centri per l’impiego disporranno in anticipo di una serie di informazioni utili alla profilazione dei beneficiari.

Valide le offerte di impiego da tutta Italia.

Per favorire l’impegnò dei percettori del RdC viene cambiata la nozione di offerta congrua di lavoro, quella cioè che se rifiutata più volte determina la decadenza del sussidio. Finora la prima offerta è congrua se riguarda un’occupazione entro 100 chilometri dalla residenza del beneficiario, la seconda entro 250 chilometri e la terza da tutto il territorio nazionale. Dal 2022, invece, la prima dovrà essere entro 80 chilometri (o una percorrenza della durata non superiore a 100 minuti con i mezzi pubblici), ma già la seconda offerta di lavoro sarà congrua se arriverà da qualsiasi parte d’Italia. Inoltre verrà considerata più facilmente congrua l’offerta part-time: basta che l’orario non sia sotto il 60% di quello dell’ultimo contratto (finora la soglia è dell’80%).

Non occupabili due terzi dei percettori.

E’ sempre bene ricordare che più di due terzi dei beneficiari del Reddito non sono occupabili. E vengono indirizzati ai servizi sociali dei comuni. Gli stessi comuni dovrebbero inoltre organizzare i progetti utili alla collettività, per impiegare i titolari del sussidio occupabili. Finora solo pochi comuni lo hanno fatto, per poche migliaia di persone su una platea potenziale di un milione. Per dare una spinta, su questo fronte, la riforma stabilisce che i comuni siano obbligati a coinvolgere nei Puc almeno un terzo dei titolari del Reddito residenti. Sul versante delle aziende private, per facilitare l’assunzione dei percettori di RdC, si stabilisce che la decontribuzione scatti anche se non è stata comunicata al centro per l’impiego la vacancy.

 

 

Imprese, il numero cresce: tira il terziario

“Imprese, il numero cresce: tira il terziario”. Titolava così, ieri mattina, Il Resto del Carlino edizione regionale. Una notizia interessante, forse in controtendenza con quanto fino a oggi ci è stato raccontato. La fonte è la Camera di Commercio delle Marche, che ha tirato una linea sull’annata 2021 e fornito tutti i dati, provincia per provincia.

Secondo il quotidiano marchigiano, le iscrizioni di nuove imprese, lo scorso anno, hanno segnato un +22,8% rispetto al 2020, con 839 aziende in più (in totale 8.289).

“Segno positivo per tutte le Province: Macerata (+0,76%), Pesaro-Urbino (+0,73), Fermo (+0,44), Ascoli (+0,37) e Ancona (+0,19). Sono le società di capitale a rendere positivo il tasso di crescita annuale grazie a 2.372 iscrizioni. […] A crescere è il terziario: attività professionali, scientifiche e tecniche (+249), attività immobiliari (+236), servizi alle imprese (+195), alloggio e ristorazione (+134), servizi di informazione e comunicazione (+89), attività finanziarie e assicurative (+70), altre attività di servizi (+69), attività artistiche, sportive e di intrattenimento, istruzione (+27), costruzioni+292, sanità e assistenza sociale e fornitura di energia elettrica. Saldi negativi: commercio (-265), trasporto e magazzinaggio (-72), agricoltura, silvicoltura e pesca (-122), attività manifatturiere (-116)”.

Dati che ci rassicurano sul lavoro che noi del Movimento 5 Stelle stiamo portando avanti al Governo, con incentivi e tante forme di sostegno. Certamente si può sempre fare di più e meglio ma crediamo che questi numeri, ancor più che le parole e soprattutto al netto di una pandemia che ci ha messo in seria difficoltà, possano essere la conferma che il nostro metodo porta positivi risultati.