“L’Italia di fronte alla sfida della crisi afghana: proteggere la libertà accademica attraverso l’accoglienza”.
Questo è il titolo dell’assemblea a cui ho partecipato stamattina, 14 gennaio, organizzata dalla rete SAR (Scholars at Risk) e dalla Sapienza.
SAR Italia, di cui Sapienza fa parte, è una rete di Atenei, istituti di ricerca e associazioni scientifiche che operano in Italia dal 2019 portando avanti progetti di protezione e advocacy in supporto di studiose e studiosi a rischio, e attività di formazione sul tema della libertà accademica.
L’assemblea voleva rappresentare un momento di riflessione e dialogo sull’attuale crisi in Afghanistan, promuovere la conoscenza dei programmi di protezione nazionali attualmente in corso in altri Paesi europei e lavorare per sviluppare un piano nazionale di borse di ricerca dedicate a studiose e studiosi che, a causa di conflitti e regimi autoritari, sono costretti ad abbandonare il proprio Paese.
Come Presidente della Commissione Diritti Umani, ho sentito il dovere di partecipare per dare un segnale di vicinanza ad un popolo che ci ha accolti e ci ha seguiti per 20 anni e anche per raccontare il lavoro che stiamo facendo in Commissione.
È infatti necessario tenere alta attenzione sulle vicende che accadono in Afghanistan dove si fa sempre più preoccupante la situazione delle donne, dei giovani e degli studenti la cui dignità è continuamente insidiata e minacciata dai Talebani.
Per questo, con la Commissione, abbiamo:
- istituito un Osservatorio proprio sui diritti delle donne in Afghanistan, di cui fanno parte tutte le senatrici rappresentate in Commissione dei vari partiti. Abbiamo sentito sul tema, nel corso di varie audizioni, il Sottosegretario Della Vedova, e i rappresentanti di UNHCR e di Pangea e intendiamo portare avanti delle audizioni periodiche sul tema.
- Abbiamo inoltre promosso, in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani, una staffetta di solidarietà pubblica tra le parlamentari italiane per le donne in Afghanistan, avviata a partire dal 1 gennaio 2022. Si tratta di una iniziativa che vuole richiamare l’attenzione sulla situazione in atto, che porterà senatrici e deputate di tutti gli schieramenti ad alternarsi ogni giorno con un tweet, un post sui social o un intervento di fine seduta in Aula sulla situazione delle donne in Afghanistan. Devo dire che l’adesione è stata immediata e partecipata, e primo fra tutti, ha aderito naturalmente l’Intergruppo del Senato per i diritti delle donne in Afghanistan con la Sen. Pinotti
- Lo scorso settembre come Commissione diritti umani, con una mozione trasversale, abbiamo sollecitato il governo a porre in atto tutte le iniziative possibili, d’intesa con la comunità internazionale, per esercitare una reale pressione sul Governo afgano, a partire dall’istituzione di una commissione di monitoraggio indipendente in accordo con il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, al fine di tutelare il futuro delle donne nel Paese. Anche grazie all’impegno italiano, è stata inoltre richiesta, in sede europea, l’istituzione di una Commissione internazionale di monitoraggio sui diritti umani libera di girare per il Paese e verificare sul campo le condizioni reali. Il 7 ottobre, peraltro, l’Unione europea ha ottenuto di avere, in seno al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, un relatore speciale sull’Afghanistan incaricato di garantire un monitoraggio continuo. Segnali importanti che dimostrano come che la comunità internazionale segua con attenzione quanto sta accadendo e pretenda il rispetto dei diritti fondamentali.
- Nel frattempo, io ho personalmente incontrato l’Ambasciatore del Pakistan, paese che ricopre un ruolo cruciale in quanto paese confinante dell’Afghanistan che ospita molti rifugiati. Nel mese di agosto ci siamo mossi per la prima atleta paralimpica afghana Zakia Khudadadi, a cui era stata impedita la partecipazione ai Giochi di Tokyo, e qualche mese fa abbiamo espresso la nostra ferma condanna per l’uccisione dell’attivista Frozan Safi.

Ma qual’è oggi la situazione in Afghanistan?
Chiaramente è molto complessa, addirittura peggiore delle notizie, pur drammatiche, che ci giungono. Soprattutto per le donne, private di tanti, se non tutti, i diritti basilari a cominciare dall’istruzione.
A 5 mesi dalla caduta di Kabul, le donne – il 50 per cento della popolazione – sono disoccupate e confinate a casa. Tante vivono ora in una situazione di povertà estrema, di frustrazione e di incertezza.
Niente scuola, niente lavoro: per le ragazze e le donne afghane la vita nel loro paese si fa sempre più difficile. Un paese in cui le donne sono private della dell’istruzione o del lavoro, non potendo contribuire al suo futuro, è un paese senza futuro.
Man mano assistiamo ad un paese che velocemente sta tornando a misure molto simili a quelle che avevano caratterizzato il primo regime talebano, tra 1996 e 2001, pur con tutte le differenze. A scapito delle donne.
Tanta attenzione, giustamente, è stata dedicata anche oggi al tema dell’istruzione: un diritto fondamentale ed è per questo che il network SAR è fondamentale per tenere accesi i riflettori su questa condizione che affligge le donne ed è necessario supportarlo fermamente.
Se parliamo di educazione, come non ricordare Malala Yousafzai, la giovane attivista pakistana, e la più giovane vincitrice del Premio Nobel per la pace, nota per il suo impegno per l’affermazione dei diritti civili e per il diritto all’istruzione che aveva deciso di
documentare le violazioni del regime dei talebani pakistani, cadendo per questo vittima di un attentato. Le sue parole:
“Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. Sono le nostre armi più potenti”.
La conoscenza è la vera cura, credo che oggi molti ragazzi occidentali, a causa della pandemia, abbiano vissuto una circostanza a cui non erano abituati e abbiano capito, forse in parte, ciò che può provare un giovane, uno studente, un docente, che ha investito 20 anni della sua vita nell’istruzione e a cui oggi viene negata questo diritto oltre che la libertà.
Ogni giorno dobbiamo ricordare che l’unico vero vaccino per il genere umano è lo studio, la formazione. Certo, noi non abbiamo vissuto nulla neppure lontanamente paragonabile a quanto sta accadendo in Afghanistan. Sappiamo che da questa situazione di lockdown, quarantena, scuola a distanza, usciremo, sappiamo che è dettata da una condizione sanitaria, e che esiste un vaccino che ci dà una speranza per il futuro.
Queste donne, queste bambine, questi cittadini, non hanno un vaccino. Per loro il vaccino, lo strumento che può permettere loro di guardare di nuovo al futuro con speranza, è legato innanzitutto alla cultura e al ruolo che la comunità internazionale può rivestire in questa fase così delicata.
Per questo credo sia importante ritrovare, anche a livello internazionale, un’unità di azione che al momento manca.
Credo che la comunità internazionale non possa e non debba assistere passivamente a quanto sta accadendo in Afghanistan e al clima di violenza e intolleranza, ostile ai diritti umani, a cui assistiamo.
È importante che l’Italia, insieme ai partner europei, utilizzi tutte le occasioni, anche nelle sedi internazionali, per ribadire il principio del rispetto dei diritti umani e della dignità della persona come un principio imprescindibile. E che si lavori in sinergia, mettendo insieme tutti gli attori, le istituzioni, le organizzazioni della società civile, anche per mantenere accessi i riflettori sul tema. Noi, come Commissione, ci saremo e continueremo a seguire con attenzione quanto accade.
Non lasciamo sole le donne e le bambine afghane.