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Celebriamo le donne ogni giorno

Oggi è la Giornata Internazionale delle Donne e a questa ricorrenza dedicherò i miei impegni istituzionali di oggi.

Ma voglio cogliere l’occasione per invitarvi, cari lettori, alla riflessione proponendovi alcuni spunti perché l’8 marzo non si riduca solo ad una giornata di ricordo del passato ma sia invece linfa per un futuro migliore.

Partiamo dal Rapporto 2020-2021 di Amnesty International che propone un piccolo ma esaustivo punto sulla situazione dei diritti delle donne in Italia.

Le ONG per i diritti delle donne hanno segnalato un aumento della violenza domestica durante il lockdown. I dati ufficiali hanno registrato oltre 23.000 chiamate al numero nazionale per l’assistenza, che nel 2019 ne aveva ricevute circa 13.400. A ottobre, il comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, incaricato della supervisione dell’attuazione della sentenza della corte europea dei diritti umani nella causa Talpis vs Italia, ha espresso preoccupazione per l’alto tasso di interruzione nella fase pre processuale dei procedimenti per violenza domestica. Il comitato ha chiesto che entro il 31 marzo 2021 le autorità fornissero informazioni e dati sugli ordini di protezione e sulle valutazioni dei rischi per le vittime.

La prevalenza di ginecologi che si oppongono all’aborto per motivi di coscienza è rimasta un ostacolo significativo all’accesso al diritto all’aborto. Ad agosto, il ministero della Salute ha approvato nuove linee guida per estendere l’accesso all’aborto medico.

Per quanto riguarda i femminicidi ho invece trovato un dato più confortante, se così si può dire. L’analisi è stata realizzata proprio in occasione della Festa della donna dal Servizio analisi criminale della Direzione centrale della Polizia criminale. E’ stato preso in esame il quadriennio 2018-2021 riscontrando un calo dei femminicidi ma, al contempo, un aumento dei cosiddetti reati-spia: stalking, maltrattamenti e violenze sessuali.

Stando ai dati forniti, sarebbero stati 119 gli omicidi volontari di donne, con una flessione del 16% rispetto al 2018 (141). Il dato però sarebbe in crescita rispetto al 2020 e al 2019, confermando il ruolo cruciale avuto dal lockdown. Rispetto al 2018, i dati relativi al 2021 disegnano un aumento dei reati di stalking (+18%), maltrattamenti contro familiari e conviventi (+30%) e violenza sessuale (2%).

Secondo la Polizia, questi numeri confermano

“la necessità di riservare alla violenza di genere la massima attenzione, non solo nella prevenzione e nel contrasto, ma anche nel supporto alle vittime e nelle campagne informative”. 

Ma andiamo ad esaminare con maggior attenzione i dati relativi ai reati spia: rispetto al 2018, i dati del 2021 indicano un aumento per stalking (17.539, +18%), maltrattamenti contro familiari e conviventi (22.602, +30%) e violenza sessuale (5.004, +2%). Fra le Regioni dove si registrano maggiormente questi reati troviamo, in testa, la Sicilia (42,84), la Campania (41,57), Puglia (37,57) e Calabria (36,59). Va invece meglio in Veneto(18,75), nelle Marche (19,04) e in Trentino Alto Adige ( 19,48). La Sicilia si conferma tristemente al top anche per i maltrattamenti contro familiari e conviventi, con 50,92, seguita da Campania (49,78) e Lazio (44,02).

E’ per questi dati che vorrei che oggi non fosse solo la giornata delle mimose, un occasione per dispensare auguri, ma molto, molto di più. Deve essere il momento per riflettere sulla situazione odierna, sul punto in cui siamo arrivati come comunità e su quanto ancora c’è da fare.

Va riconosciuto agli ultimi Governi un impegno nel riconoscere il fenomeno e nell’intervenire con leggi ad hoc. Basti pensare alle misure introdotte nel 2001 per contrastare i casi di violenza all’interno delle mura domestiche con l’allontanamento del familiare violento; o all’introduzione, nel 2009, di un nuovo reato, quello di atti persecutori o stalking; per poi giungere all’approvazione della legge n. 69/2019 chiamata Codice Rosso che prevede tempi più rapidi della giustizia, inasprimento delle pene per i reati di violenza sessuale e di stalking e l’introduzione di nuovi reati come il revenge porn e le lesioni permanenti al volto. Abbiamo anche previsto l’apertura e il potenziamento di centri per uomini maltrattanti ma tutto questo evidentemente non è sufficiente a debellare il problema che ha radici più profonde, in una cultura che va sradicata.

E’ per questo che è importante intervenire nell’educazione delle giovani generazioni, insegnando ai nostri bambini che le donne hanno i loro stessi diritti, che meritano rispetto e amore; e al contempo, alle nostre bambine dobbiamo insegnare a lottare, a battere i pugni quando viene calpestato un loro diritto ma anche ad essere sempre rispettose. Perché il rispetto deve sempre essere reciproco in quanto base di un reale e radicale cambiamento.

Ed infine lasciatemi rivolgere un pensiero alle donne dell’Afghanistan e a quelle dell’Ucraina. Le prime stanno lottando per i propri diritti contro un regime misogino e violento: vogliono studiare, poter lavorare, poter essere felici. La comunità internazionale non deve mai smettere di pretendere dal governo talebano il rispetto dei diritti delle donne.

Con dolore stiamo assistendo anche alla sofferenza, al dolore dell’Ucraina. Pensavamo che l’Europa fosse finalmente immune alla guerra e invece siamo costretti, oggi, a fare i conti con la violenza, ancora; con il sangue, ancora. Ed emblema di questo dramma alle porte dell’UE sono le donne che stanno fuggendo dal loro Paese per salvare i propri figli, costrette a separarsi da qualsiasi affetto, dai loro mariti, affrontando con coraggio la paura e tutte le difficoltà di un inverno quanto mai rigido.

Che sia quindi un 8 marzo di profonda riflessione, dedicato a chi non smette mai di lottare, a chi supera la paura trovando il coraggio di denunciare e a chi si libera dei soprusi, ma anche a tutti quegli uomini che dimostrano, ogni giorno, che esiste la speranza di un futuro migliore e che sanno porsi accanto alle donne sulla strada del cambiamento.

 

Donne in Afghanistan: “Lo studio è il vero vaccino, manteniamo alta l’attenzione”

“L’Italia di fronte alla sfida della crisi afghana: proteggere la libertà accademica attraverso l’accoglienza”.
Questo è il titolo dell’assemblea a cui ho partecipato stamattina, 14 gennaio, organizzata dalla rete SAR (Scholars at Risk) e dalla Sapienza.
SAR Italia, di cui Sapienza fa parte, è una rete di Atenei, istituti di ricerca e associazioni scientifiche che operano in Italia dal 2019 portando avanti progetti di protezione e advocacy in supporto di studiose e studiosi a rischio, e attività di formazione sul tema della libertà accademica.
L’assemblea voleva rappresentare un momento di riflessione e dialogo sull’attuale crisi in Afghanistan, promuovere la conoscenza dei programmi di protezione nazionali attualmente in corso in altri Paesi europei e lavorare per sviluppare un piano nazionale di borse di ricerca dedicate a studiose e studiosi che, a causa di conflitti e regimi autoritari, sono costretti ad abbandonare il proprio Paese.
Come Presidente della Commissione Diritti Umani, ho sentito il dovere di partecipare per dare un segnale di vicinanza ad un popolo che ci ha accolti e ci ha seguiti per 20 anni e anche per raccontare il lavoro che stiamo facendo in Commissione.

È infatti necessario tenere alta attenzione sulle vicende che accadono in Afghanistan dove si fa sempre più preoccupante la situazione delle donne, dei giovani e degli studenti la cui dignità è continuamente insidiata e minacciata dai Talebani.

Per questo, con la Commissione, abbiamo:

  1. istituito un Osservatorio proprio sui diritti delle donne in Afghanistan, di cui fanno parte tutte le senatrici rappresentate in Commissione dei vari partiti. Abbiamo sentito sul tema, nel corso di varie audizioni, il Sottosegretario Della Vedova, e i rappresentanti di UNHCR e di Pangea e intendiamo portare avanti delle audizioni periodiche sul tema.
  2. Abbiamo inoltre promosso, in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani, una staffetta di solidarietà pubblica tra le parlamentari italiane per le donne in Afghanistan, avviata a partire dal 1 gennaio 2022. Si tratta di una iniziativa che vuole richiamare l’attenzione sulla situazione in atto, che porterà senatrici e deputate di tutti gli schieramenti ad alternarsi ogni giorno con un tweet, un post sui social o un intervento di fine seduta in Aula sulla situazione delle donne in Afghanistan. Devo dire che l’adesione è stata immediata e partecipata, e primo fra tutti, ha aderito naturalmente l’Intergruppo del Senato per i diritti delle donne in Afghanistan con la Sen. Pinotti
  3. Lo scorso settembre come Commissione diritti umani, con una mozione trasversale, abbiamo sollecitato il governo a porre in atto tutte le iniziative possibili, d’intesa con la comunità internazionale, per esercitare una reale pressione sul Governo afgano, a partire dall’istituzione di una commissione di monitoraggio indipendente in accordo con il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, al fine di tutelare il futuro delle donne nel Paese. Anche grazie all’impegno italiano, è stata inoltre richiesta, in sede europea, l’istituzione di una Commissione internazionale di monitoraggio sui diritti umani libera di girare per il Paese e verificare sul campo le condizioni reali. Il 7 ottobre, peraltro, l’Unione europea ha ottenuto di avere, in seno al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, un relatore speciale sull’Afghanistan incaricato di garantire un monitoraggio continuo. Segnali importanti che dimostrano come che la comunità internazionale segua con attenzione quanto sta accadendo e pretenda il rispetto dei diritti fondamentali.
  4. Nel frattempo, io ho personalmente incontrato l’Ambasciatore del Pakistan, paese che ricopre un ruolo cruciale in quanto paese confinante dell’Afghanistan che ospita molti rifugiati. Nel mese di agosto ci siamo mossi per la prima atleta paralimpica afghana Zakia Khudadadi, a cui era stata impedita la partecipazione ai Giochi di Tokyo, e qualche mese fa abbiamo espresso la nostra ferma condanna per l’uccisione dell’attivista Frozan Safi.

Ma qual’è oggi la situazione in Afghanistan?

Chiaramente è molto complessa, addirittura peggiore delle notizie, pur drammatiche, che ci giungono. Soprattutto per le donne, private di tanti, se non tutti, i diritti basilari a cominciare dall’istruzione. 

A 5 mesi dalla caduta di Kabul, le donne – il 50 per cento della popolazione – sono disoccupate e confinate a casa. Tante vivono ora in una situazione di povertà estrema, di frustrazione e di incertezza. 

Niente scuola, niente lavoro: per le ragazze e le donne afghane la vita nel loro paese si fa sempre più difficile. Un paese in cui le donne sono private della dell’istruzione o del lavoro, non potendo contribuire al suo futuro, è un paese senza futuro.

Man mano assistiamo ad un paese che velocemente sta tornando a misure molto simili a quelle che avevano caratterizzato il primo regime talebano, tra 1996 e 2001, pur con tutte le differenze. A scapito delle donne.

Tanta attenzione, giustamente, è stata dedicata anche oggi al tema dell’istruzione: un diritto fondamentale ed è per questo che il network SAR è fondamentale per tenere accesi i riflettori su questa condizione che affligge le donne ed è necessario supportarlo fermamente. 

Se parliamo di educazione, come non ricordare Malala Yousafzai, la giovane attivista pakistana, e la più giovane vincitrice del Premio Nobel per la pace, nota per il suo impegno per l’affermazione dei diritti civili e per il diritto all’istruzione che aveva deciso di
documentare le violazioni del regime dei talebani pakistani, cadendo per questo vittima di un attentato. Le sue parole:

“Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. Sono le nostre armi più potenti”.

La conoscenza è la vera cura, credo che oggi molti ragazzi occidentali, a causa della pandemia, abbiano vissuto una circostanza a cui non erano abituati e abbiano capito, forse in parte, ciò che può provare un giovane, uno studente, un docente, che ha investito 20 anni della sua vita nell’istruzione e a cui oggi viene negata questo diritto oltre che la libertà.

Ogni giorno dobbiamo ricordare che l’unico vero vaccino per il genere umano è lo studio, la formazione. Certo,  noi non abbiamo vissuto nulla neppure lontanamente paragonabile a quanto sta accadendo in Afghanistan. Sappiamo che da questa situazione di lockdown, quarantena, scuola a distanza, usciremo, sappiamo che è dettata da una condizione sanitaria, e che esiste un vaccino che ci dà una speranza per il futuro.

Queste donne, queste bambine, questi cittadini, non hanno un vaccino. Per loro il vaccino, lo strumento che può permettere loro di guardare di nuovo al futuro con speranza, è legato innanzitutto alla cultura e al ruolo che la comunità internazionale può rivestire in questa fase così delicata. 

Per questo credo sia importante ritrovare, anche a livello internazionale, un’unità di azione che al momento manca. 

Credo che la comunità internazionale non possa e non debba assistere passivamente a quanto sta accadendo in Afghanistan e al clima di violenza e intolleranza, ostile ai diritti umani, a cui assistiamo. 

È importante che l’Italia, insieme ai partner europei, utilizzi tutte le occasioni, anche nelle sedi internazionali, per ribadire il principio del rispetto dei diritti umani e della dignità della persona come un principio imprescindibile. E che si lavori in sinergia, mettendo insieme tutti gli attori, le istituzioni, le organizzazioni della società civile, anche per mantenere accessi i riflettori sul tema. Noi, come Commissione, ci saremo e continueremo a seguire con attenzione quanto accade.

Non lasciamo sole le donne e le bambine afghane.