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Ma quale crescita? Ecco perché la manovra avrà un impatto irrilevante sulla nostra economia

Ma quale crescita? Ecco perché la manovra avrà un impatto irrilevante sulla nostra economia

Per rispondere a questa domanda basta leggere quanto scrive il ministro Giorgetti nell’aggiornamento della Nadef: l’obiettivo di crescita nel 2023 è di appena lo 0,6%. È la dimostrazione plastica di come i 39 miliardi di cui si compone la Legge di bilancio hanno un impatto irrilevante sul sistema economico. Il tutto mentre si dovrebbe investire per proteggere una crescita che, anche grazie alle politiche espansive del Governo Conte II, aveva fatto segnare un +6,7% nel 2021 e garantito un effetto trascinamento sulle stime del Pil 2022, dato attualmente al +3,7%. Con questa Manovra si riconsegna il Paese, nella migliore delle ipotesi, a un Pil da zero virgola che tanto ha penalizzato l’Italia negli anni precedenti; se invece dovessero avverarsi le previsioni dei più accreditati osservatori (Fmi su tutti) sarà recessione. La Legge di bilancio non fa nulla per prevenire questi scenari, anzi li asseconda. Non c’è nulla per contribuire alla competitività e alla resilienza del tessuto produttivo. Su misure di investimento come Superbonus e Transizione 4.0 si fanno inaccettabili passi indietro.

La Legge di bilancio è restrittiva in primis perché opera un drastico abbattimento del deficit in rapporto al Pil: dal 5,6% del 2022 al 4,5% del 2023. Parliamo di 1,1 punti percentuali, ovvero 20 miliardi di euro. Questo è un chiaro effetto restrittivo, nonostante il Governo abbia aumentato il precedente deficit tendenziale al 3,4% del Pil lasciato in eredità dal precedente Esecutivo (significa che il Governo Draghi ha fatto ancora più austerità)  

C’è un altro elemento che dimostra il ritorno al passato: l’avanzo primario. Parliamo di un autentico feticcio dell’austerity, che ci auguravamo fosse stato archiviato definitivamente, soprattutto nelle fasi di ciclo economico avverso. In sostanza con questa Legge di bilancio la Meloni intende riconsegnare il Paese a quella condizione in cui le entrate devono sempre e comunque essere superiori alle spese (al netto della spesa per interessi). Ebbene, il ritmo con cui l’attuale Governo vuole arrivare a un avanzo primario è molto più serrato di quello lasciato in eredità da Draghi: se quest’ultimo nel Def di aprile aveva previsto un avanzo primario dello 0,2% nel 2025, la Meloni anticipa questo 0,2% al 2024 e per il 2025 prevede addirittura un avanzo primario dell’1,1%. Una scossa di austerità incredibile, che si traduce in tagli o minori spese per pensioni, sanità, scuola, stipendi pubblici, approvvigionamento di beni e servizi 

giorgiofede

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