La Superlega è già un pallone sgonfio. E di questo siamo contenti.
Il progetto avrebbe tolto magia, passione, a uno sport che ha un impatto sociale enorme. E una sua dimensione sentimentale. Ogni generazione può ancorare alle “partite di pallone” ricordi, gioie, delusioni. Le domeniche in cui l’Italia si fermava, all’orario stabilito, con le orecchie alle radioline. E gli interventi dei radiocronisti dai campi più polverosi avevano il diritto, in caso di gol, di interrompere la cronaca del big match di giornata. “Scusa Ameri, scusa Ciotti. Scusa, ma devo intervenire”. Perché il calcio è di tutti. Un gol è una gioia. E ogni gioia ha lo stesso diritto.
Siamo contenti, quindi, se il progetto della “Lega dei ricchi” alla fine non vedrà la luce. Se al calcio verrà concesso il lusso del sogno. Quello delle “piccole” che di tanto in tanto riescono ad alzare la testa, a mettere in difficoltà le grandi, a sovvertire la logica dei budget, grazie a un talento sbocciato, a un tecnico geniale, a uno stadio che indossa la dodicesima maglia.
Siamo contenti, quindi. Ma la preoccupazione resta. Perché, oltre al sentimento c’è tutto il resto. C’è la presa d’atto che il calcio è un’industria. E un’industria importante.
Quanto è accaduto, è un campanello d’allarme. Il mondo del calcio, tutto, dovrà ripensarsi. Dovrà sforzarsi di trovare un equilibrio tra i valori alla base di quello che è e resta uno sport – e non uno show televisivo – e le esigenze economiche di chi, quello sport, lo porta avanti. Prima che il pallone si sgonfi per tutti.